Nella sua veste di direttrice del carcere avrebbe regolarmente favorito in diversi modi i detenuti 'ndranghetisti. Per questo l'attuale direttrice del carcere femminile romano di Rebibbia, Maria Carmela Longo, è stata arrestata ed è da martedì agli arresti domiciliari con l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa.
I fatti risalgono a quando la donna dirigeva la casa circondariale Panzera di Reggio Calabria. Secondo l'accusa della Direzione distrettuale antimafia della città dello Stretto, diretta da Giovanni Bombardieri, la Longo avrebbe consentito diverse violazioni ai detenuti collegati alle più importanti consorterie mafiose calabresi e in custodia in regime di alta sicurezza. A essi l'ex direttrice avrebbe garantito di incontrare i familiari al di fuori dell'istituto penitenziario e dei limiti previsti nella disciplina dei colloqui; i loro nomi avrebbe segnalato per il lavoro intramurario ed esterno, per garantire loro libertà di azione; a detenuti di alta sicurezza legati da parentela o affiliazione allo stesso clan avrebbe assegnato infine la stessa cella. In questo modo la Longo avrebbe contribuito «al mantenimento e al rafforzamento delle associazioni a delinquere di tipo 'ndranghetistico».
L'interrogatorio di garanzia per l'ex direttrice del carcere reggino - che si trova proprio a Reggio Calabria - dovrebbe svolgersi oggi o al massimo domani. Con la Longo risultano indagate anche altre quattro persone: i sovrintendenti della Polizia penitenziaria Massimo e Fabio Musarella, un medico dell'Asp, Antonio Pollio, e una detenuta, ai quali lo stesso medico avrebbe firmato u certificato medico al solo scopo di consentirle di evitare di presentarsi all'udienza di un processo in veste di testimone. Altre persone avrebbero subito perquisizioni nell'ambito delle indagini svolte dal Nucleo investigativo centrale del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria.
Spietata l'analisi di Aldo Di Giacomo, segretario del sindacato petitenizario Spp: «L'arresto della Longo riapre il tema dei detenuti dell'alta sicurezza, i quali da anni comandano nelle carceri italiane e impartiscono ordini all'esterno trovando nel carcere, che dovrebbe essere il punto terminale di una carriera criminale, un punto di ripartenza e di riorganizzazione delle attività mafiose sui propri territori». Secondo Di Giacomo l'arresto di martedì «è probabilmente solo la punta dell'iceberg, le collusioni tra parte consistente dello Stato e le mafie e i tessuti sociali e religiosi sono forse stati troppo sottodimensionati».
«Speriamo che la direttrice possa dimostrare la sua innocenza - dice Gennarino De Fazio, segretario generale della Uilpa Polizia penitenziaria - però, la percezione che qualcosa non andasse, in quel carcere l'avevamo avuta anche noi, tanto da indirizzare già nel dicembre del 2012 ai massimi vertici dell'amministrazione una nota che, riletta ora, sembra la fotografia esatta di quanto, secondo i resoconti giornalistici, starebbe emergendo dalle indagini. Purtroppo quella nota non è stata mai riscontrata, né si è avuta contezza di particolari iniziative del Dap che all'epoca non sembrava possedere la reattività odierna».
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