I partiti italiani provino a fare squadra

Un impegno trasversale dei gruppi rafforzerebbe il nostro Paese nei ruoli cardine

I partiti italiani provino a fare squadra
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In un'Unione Europea dove si dovrebbe ragionare avendo in mente tra le tante priorità anche gli interessi nazionali, il paradosso è che in alcuni casi la facciano da padrone solo gli schieramenti per non dire le ideologie. Ora è naturale che nel Parlamento di Strasburgo i giochi siano in mano alle famiglie politiche, ma esiste anche un sotto livello, un non detto che a volte diventa prioritario e riguarda la capacità dei partiti di uno stesso Paese, magari avversari in casa, di fare «sistema», cioè di condividere ad esempio l'obiettivo di portare ai vertici della Ue o nei gagli fondamentali della sua nomenklatura connazionali che abbiano a cuore pure le convenienze della nazione. Molti paesi seguono questa bussola, l'Italia purtroppo no. Appunto, non fa sistema.

È una vecchia questione, trita e ritrita, che però si ripropone di fronte ad ogni scadenza e ad ogni appuntamento. Come nella partita di questi giorni sui «top jobs» dell'Unione. Sulla carta l'Italia avrebbe molto da dire: Antonio Tajani, anche sul piano personale, ha una certa influenza nel partito che ha vinto le elezioni, cioè il Ppe; il Pd è il partito che ha portato più parlamentari nel gruppo socialista; e ancora, ai confini delle grandi famiglie europee - cioè di popolari, socialisti e liberali - c'è la Meloni che con il gruppo di Fratelli d'Italia potrebbe rivelarsi essenziale per puntellare la cosiddetta maggioranza Ursula alla mercé dei franchi tiratori.

Quindi, sarebbe saggia un entente cordiale tra i partiti che vengono da Roma, al di là della collocazione in Italia, per favorire l'ascesa in uno o più ruoli cardine della Ue di personalità del nostro Paese.

Tanto più che sono cariche che dureranno più dell'attuale legislatura nazionale e che se oggi possono far comodo al centro-destra un domani, dopo le prossime elezioni, se magari ci fosse un'alternanza al governo, potrebbero tornare utili anche al centro-sinistra o a quel che sarà. E la ragione è semplice: sulla carta in Europa contano gli orientamenti politici e magari su alcuni temi (vedi il posizionamento della Ue sull'Ucraina) non potrebbe essere altrimenti; poi, però, il punto di riferimento principale per un'azione che abbia un senso a livello europeo sono gli interessi nazionali e quelli, in uno schema virtuoso, dovrebbero accomunare tutte le nostre rappresentanze a Strasburgo. Specie in una fase in cui è molto probabile che finiti sotto la procedura d'infrazione dovremo fare manovre per 13 miliardi per sette anni per rispettare le nuove regole dell'Unione, per non parlare dei ritardi che continuiamo a scontare nell'investire le risorse che l'Europa ci ha destinato grazie al Pnrr.

Motivo per cui avere chessò alla presidenza della Commissione, del Consiglio, del Parlamento o come commissario europeo in un settore strategico un amico dell'Italia farebbe comodo un po' a tutti dalle nostre parti. Solo che mettere in moto un meccanismo del genere, un automatismo, una sensibilità di questo tipo nel Belpaese è complesso se non impossibile.

Ad esempio l'opposizione, sia pure nella diversità di ruoli e di collocazione, non ha fatto nulla per assecondare gli sforzi del Premier italiano per entrare nei grandi giochi a Bruxelles. Anzi, ha fatto il contrario. Il che è puro masochismo perché avere un Cingolani, un Fitto, un Giorgetti come commissari della Ue in settori strategici ci aiuterebbe non poco. Oppure personaggi come Antonio Tajaini o, per guardare dall'altra parte, Enrico Letta collocati in uno dei «top job» ci potrebbero facilitare in tante questioni.

Certo in passato anche esperienze del genere non sono state del tutto soddisfacenti: i tecnici sono portati ad assecondare le burocrazie di Bruxelles; e a volte i politici mandati ai vertici della Ue hanno lavorato a Bruxelles dando l'impressione di indossare la casacca di partito che avevano lasciato in Italia.

Solo che inserire scelte del genere in un accordo, appunto, un'intesa per salvaguardare i nostri interessi in Europa, fare sistema salvaguardando nel contempo

posizionamento politico e interesse nazionale potrebbe essere la strada giusta per contare di più e fare incontrare gli interessi del nostro Paese con quelli dell'Europa. Non è nazionalismo e tantomeno sovranismo, ma puro pragmatismo.

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