Alla fine che differenza fa aver trascorso il lockdown a bordo di un divano sbocconcellando pane duro fatto in casa oppure su una barca di nove metri in mezzo all'oceano, a parte il fatto che non hai notizie dal resto del mondo in bilico, che devi mangiare solo tonno in scatola e che se finisci il carburante devi andare a vela e il vento non lo governi tu?
A parte questo nessuna differenza, solo una solitudine diversa - ma le solitudini sono tutte diverse, è la compagnia a essere più o meno sempre uguale - e una paura di altro genere, non quella di essere contaminato ma magari di finire inghiottito dall'oceano.
Questa è la storia (raccontata da Daniel Politi sul New York Times) di Juan Manuel Ballestero, nome da torero e tempra da giramondo, argentino di 47 anni con la passione per il mare. Che all'inizio di marzo, quando il mondo si accorge che c'è un leggerissimo problema sanitario globale, si trova nella piccola isola portoghese di Porto Santo, al largo di Madeira, più Africa che Europa. Un luogo apparentemente perfetto per infilarsi dentro una parentesi che sembra evidente che non si chiuderà presto. In quell'isoletta di 42 chilometri quadrati che fu abitata per un paio d'anni anche da Cristoforo Colombo prima delle sue avventure americane, il virus non potrebbe arrivare facilmente, così come le paranoie e le diffidenze che ne seguiranno.
Ma la verità è che Juan Manuel si sente un codardo a star lì, lontano da tutto. La sua famiglia è in Argentina, il padre ha novant'anni, chissà se lo rivedrà più, e poi la maledetta pandemia spinge tutti a riconsiderare i propri affetti e le priorità esistenziali e insomma lui decide di salpare affrontando l'Atlantico e chissenefrega. Riempie la sua barca di nove metri (un Ohloson battezzato Skua) di scatolette di tonno, riso e frutta e parte. Se la fine del mondo che tutti annusiamo in quei giorni deve arrivare, che lo colga in mare aperto piuttosto che spiaggiato in un'isoletta. E poi che diamine, c'è quello spirito di Cristoforo Colombo che lo visita e lo anima.
«Ho comprato un biglietto sola andata e non c'era possibilità di tornare indietro», dice ora Ballestero. Anche perché le autorità portoghesi alla sua partenza lo avvertono: se avrà qualsiasi tipo di problema non potrà rimettere piede a Porto Santo o altrove, perché le regole anti-Covid non lo consentono. Quando si dice chiudersi la strada dietro alle spalle.
Per Juan Manuel inizia un'odissea che durerà 85 giorni. Fatta di ebbrezza e disperazione, di tempeste e impeti. Di rifiuti, come quello opposto dalle autorità di Capo Verde al suo attracco per fare rifornimento di cibo e di carburante, il 12 aprile, sicché deve andare avanti con le scatolette di tonno e utilizzando più spesso la vela e i capricci dei venti. Di presagi. Della compagnia di una combriccola di delfini che lo scortano per alcuni giorni, per 2mila miglia, poi scompaiono perché anche loro a un certo punto devono aver capito che quel tizio barbuto e ostinato ce l'avrebbe fatta.
E poi l'arrivo. Pure questo per niente facile.
Un'onda lo sbatte lontano quando è vicino a Vitòria, in Brasile e lo costringe a fermarsi in questo porto. Poi il 17 giugno l'arrivo a Mar del Plata. Subito l'abbraccio con il papà Carlos Alberto? Macché: il tampone. Tre giorni per il responso e infine lo sbarco. Cristoforo Colombo è arrivato, il mondo non è nuovo ma quasi.
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