ltro che «Sleepy Joe»: Biden è tornato con decisione sulla scena internazionale e sembra determinato a riaffermare la sua leadership negli Stati Uniti in vista dell'avvio della campagna elettorale per le presidenziali del 2024. Il viaggio in Israele di pochi giorni fa ha fornito al leader democratico un'occasione per rinvigorire la sua figura, che a dire il vero nelle ultime settimane era apparsa un po'sbiadita, e rigettarsi nel dibattito politico interno partendo da una posizione di forza.
Il mese di settembre non era stato particolarmente positivo per Biden: dapprima oggetto delle critiche dei suoi detrattori per alcune gaffes compiute durante lo stancante viaggio in Asia (dove si era recato per il summit del G20 in India e per altre visite bilaterali), poi costretto a cercare un accordo in extremis con i Repubblicani per evitare che il governo federale andasse in shutdown, al prezzo della rinuncia ad un nuovo pacchetto di aiuti militari all'Ucraina. Il tutto mentre Donald Trump sfruttava la sua immagine di «perseguitato politico» nel corso delle udienze per i processi a suo carico in corso presso il tribunale di New York, sbaragliando nei sondaggi la concorrenza degli altri candidati alle primarie del Partito Repubblicano.
Poi, l'inatteso attacco di Hamas a Israele del 7 ottobre ha costretto Biden a scendere in campo, rivendicando il tradizionale impegno degli Stati Uniti in Medio Oriente innanzitutto come principale alleato di Tel Aviv. Una regione che, negli anni scorsi, era stata (colpevolmente) messa da parte sia durante la Presidenza Trump che nel corso dell'attuale mandato, con un progressivo disimpegno verso quanto accade dall'altra parte dell'Atlantico ma soprattutto nel bacino del Mediterraneo. Tuttavia, di fronte a uno degli eventi più tragici della storia di Israele (avvenuto non a caso a 50 anni esatti dalla guerra dello Yom Kippur) la Casa Bianca non poteva restare a guardare, soprattutto per il rischio che la «miccia» diventasse esplosiva coinvolgendo l'intera regione e le potenze esterne in una nuova guerra che ad oggi nessuno si può permettere.
Dunque Biden è volato a Tel Aviv, confermando il sostegno al Primo ministro israeliano Netanyahu ma al contempo inviandogli dei messaggi chiari sull'importanza di evitare un'escalation del conflitto e di mettere da parte il desiderio cieco di vendetta per far posto ad un'azione militare razionale che porti a neutralizzare Hamas risparmiando i civili palestinesi. Una visita che è stata certamente complicata dal missile che ha colpito l'ospedale di Gaza (le cui responsabilità sono ancora da chiarire anche se sembra un errore da parte palestinese), ma che dovrebbe essere andata nel segno di evitare una reazione spropositata da parte di Israele. Del resto, la posizione di Netanyahu è fortemente indebolita internamente dopo l'attacco del 7 ottobre e al leader israeliano restano poche opzioni oltre a quelle di prestare ascolto al proprio partner principale a livello internazionale.
Biden è quindi tornato in patria su una posizione di forza ritrovata. A livello internazionale, ha ribadito il ruolo chiave degli USA come potenza che non può esimersi dal sostenere Israele ma che è anche l'unica in grado di perseguire un equilibrio nella regione mediorientale, soprattutto grazie alle buone relazioni con Egitto, Giordania e Arabia Saudita e all'appoggio che questi Paesi possono fornire in questa fase delicata. Sul piano interno, ha potuto guadagnare terreno su Trump, che è invece rimasto impigliato nelle sue contraddizioni a causa della vicinanza al genero Jared Kushner (figlio di ebrei ortodossi e molto vicino alle fasce più conservatrici di Israele) ma anche per gli insulti rivolti a Netanyahu («impreparato e idiota).
Inoltre, Biden non solo non ha lasciato per quanto riguarda il tema degli aiuti militari, ma ha addirittura raddoppiato, inviando al Congresso una proposta di legge che include lo stanziamento di 100 miliardi di dollari per Ucraina, Israele e anche Taiwan. Non è ancora chiaro se il provvedimento sarà approvato: la Camera dei Rappresentanti è ancora bloccata in attesa che i Repubblicani si mettano d'accordo sul nuovo speaker da eleggere).
Quel che è certo, però, è che il Presidente con oltre cinquanta anni di esperienza nella dura politica americana e che tutti davano ormai per «bollito» è tornato in pista: gli avversari sia in casa che all'estero sono avvertiti.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.