Lo sprint finale per il Ddl Capitali è iniziato. Tra il 6 e il 9 febbraio ci sarà il voto alla Camera, con il via libera definitivo in Senato atteso per la fine dello stesso mese. La legge si pone l'obiettivo di aumentare l'attrattività della Borsa italiana e spingere le piccole e medie imprese a sbarcare sui listini. Ed è per questo che semplifica la procedura di quotazione per le aziende, riducendo gli oneri, e allargando la definizione di Pmi da una soglia di 500 milioni di capitalizzazione a 1 miliardo.
Le novità più dibattute sono la modalità di presentazione della cosiddetta lista del consiglio d'amministrazione e il potenziamento del voto maggiorato. Partendo dalla prima, il Ddl Capitali va a normare per la prima volta una prassi diffusa - si pensi a quanto accade in Generali, Mediobanca o Unicredit - e cioè la facoltà dei manager di presentare una propria lista di candidati al voto dei soci: per essere presentata la lista del cda dovrà avere l'assenso di almeno due terzi del cda uscente e si dovranno proporre un numero di candidati pari al numero di quelli da eleggere maggiorati di un terzo. Se questa lista dovesse essere la preferita, ci sarà un ulteriore voto sui singoli candidati per decidere chi deve entrare in cda. Alle liste di minoranza forti, che ottengano almeno il 20% di voti, dovrà essere assegnato un numero proporzionale di posti nel board.
Passando al voto maggiorato, ogni socio presente da almeno due anni può ottenere fino a due voti per ogni azione posseduta; si può inoltre prevedere che, ogni anno, si attribuisca allo stesso azionista un voto ulteriore fino a un massimo di dieci. Il voto maggiorato dovrà, tuttavia, essere approvato con una modifica allo Statuto in assemblea con l'ok di almeno i due terzi dei votanti.
Il responsabile economia e finanze del Pd, Antonio Misiani, ha detto che così «si rischia di rendere ingovernabili una serie di cda». Il Financial Times ha bollato le norme come un favore all'imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone «colpevole» di volere un riequilibrio di potere tra manager e soci.
Un'accusa del tutto strumentale, visto che il tema nel suo insieme è di interesse generale. Del resto, nel criticare la posizione del FT il sottosegretario Federico Freni (in foto) è stato lapidario: «Non condivido una parola di quelle scritte dal quotidiano inglese».
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