Sorvegliare e gioire. "Foucault in California", il paradiso artificiale

Un romanzo on the road sulla vacanza (di lavoro) del filosofo francese nel 1975

Sorvegliare e gioire. "Foucault in California", il paradiso artificiale

Devono essere davvero simpatici gli inventori di questa casa editrice barcellonese (ora con sede anche a Milano), Blackie Edizioni, dal nome credo di un cane.

I titoli del catalogo sono splendidi, ispirano amore, voglia di baciare: Quaderno di compiti delle vacanze per adulti, Pizza Girl, Odissea, La grande guida illustrata del Cosmo, L'arte di essere Raffaella Carrà, Come annoiarsi meglio, Dio è morto, Il mio albero di arance dolci.

La veste editoriale è unica (cartone rigido, niente sovracoperta), con copertine di un pop kitsch-rétro rivisitato. Ne vien fuori una allegra folla di volumetti che ricordano l'editoria per l'infanzia ma sono destinati agli adulti, ormai per sempre, a quanto pare, ragazzoni indisponibili alla crescita.

Voglio leggerne molti, ma per ora ne ho letto solo uno, Foucault in California di Simeon Wade (pagg. 165, euro 18,60, traduzione di Giorgia Tolfo). Il libro promette «un viaggio filosofico e lisergico», ma prima di vedere se le promesse sono state mantenute il lettore vorrà sapere che è questo Foucault.

Michel Foucault (1925 - 1984) è stato uno dei maggiori e più originali pensatori del XX secolo. Dalla «morte di Dio» di Nietzsche fece discendere (con un procedimento che lui chiamò «archeologico») la constatazione della «morte dell'uomo», ossia la fine della centralità dell'umanesimo da tutti i campi del sapere, dalla psichiatria (Storia della follia) ai sistemi carcerari (Sorvegliare e punire) alla sessualità (Storia della sessualità) fino alla letteratura, dove giunse a negare, in un celebre saggio, la stessa nozione di «autore». Studiò a lungo il rapporto tra «potere» e «sapere», considerando marginale la funzione repressiva del potere in favore di una funzione produttiva: il potere «produce» sapere.

Foucault fu senza dubbio un genio, vera icona del pensiero più trasgressivo degli anni '60-'70, gay dichiarato (frequentatore, sembra, di ambienti sado-maso), consumatore di droghe leggere. Io mi laureai con una tesi su di lui e non me ne sono mai pentito.

Foucault in California emerge, sembra, da uno scantinato, in mezzo alle carte dimenticate del suo autore, Simeon Wade (1940 - 2017), un docente californiano che con questo mémoir rievoca la straordinaria visita di Foucault a Claremont, dove Wade insegnava. Accadde nel 1975. Il libro balza fuori da quell'epoca con tutta la bislacca energia di quel tempo e di quei luoghi. Il mito della California era al suo culmine, o forse all'inizio della decadenza: una specie di paradiso fatto di musica, filosofia, sesso libero, acidi.

Facciamo così la conoscenza di Wade, del suo fidanzato Mike («musicista, omosessuale e fumatore») e della comunità perlopiù gay - ma non solo - che li circonda. Il corpo centrale del libro è occupato da un viaggio che Foucault e i suoi nuovi amici compiono nella «Death Valley» in cerca di visioni ultraterrene aiutate da un potente intruglio non meglio noto che come «pietra filosofale». Sono pagine caotiche di un uomo che deve cercare, da sobrio, di riattivare ricordi lisergici, e che non è nemmeno uno scrittore, e quindi non conosce nessuna malizia letteraria, che in questi casi sarebbe utile.

Due cose colpiscono, comunque, in questo libro, e non sono cose da poco.

La prima è che il mondo in cui Foucault si trova immerso in California è un mondo che si vuole completamente artificiale: sia nel rapporto con una natura molto bella ma che - stando a Wade - si può comprendere pienamente soltanto dall'interno di un potente trip; sia nella costruzione di un nuovo modello di vita quotidiana (mangiare, bere, lavorare, viaggiare) che viene ostinatamente ricreata da zero, rifiutando in blocco qualsiasi valore (etico, religioso ecc.) convenuto. Insomma, un mondo a suo modo separato, parallelo, come una sorta di fantasia istericamente realizzata.

La seconda è il totale distacco, la drastica (ma non drammatica) separazione tra il pensiero e la vita. Nei primi tre quarti del libro la vita californiana di Foucault e dei suoi amici nella sua voluta originalità è così banale, così spoglia di pensiero da stare comodamente dentro una prosa - quella di Wade - non più articolata di quella di uno studente di seconda media. Il pensiero di Foucault e dei suoi amici (tutti intellettuali) non ha nessuna incidenza sulla vita: si mangia, si viaggia, si ascolta musica, ci si incontra, ma non un'idea, nemmeno la più elementare, rimane attaccata a queste azioni.

Infine: tenuto conto della grande influenza di Foucault sulla letteratura soprattutto francese, fino ai nostri giorni (Annie Ernaux inclusa), vien da chiedersi se sia veramente possibile risolvere la memoria personale (noi siamo fatti di memoria, è l'assunto di Proust) con una

memoria d'archivio generale, una specie di enorme catasto comune dove recuperare, a brandelli, un tempo sempre e solo collettivo. Sarà un passo verso una migliore conservazione della storia o verso la sua polverizzazione?

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