Non è esattamente un'impresa semplice doversi assumere il compito di successore di Indro Montanelli come direttore di quel "Giornale Nuovo" fondato dallo stesso grande giornalista di Fucecchio nel giugno 1974 che lo aveva guidato per i primi vent'anni di storia. Eppure, dopo il divorzio non certo pacifico tra lui e Silvio Berlusconi - che aveva acquisito la proprietà del quotidiano nel '77 - nell'ultimo trentennio sono state sei le personalità che si sono alternati al timone della redazione di via Gaetano Negri, ora in via dell'Aprica: Vittorio Feltri (dal 1994-1997 e poi ancora dal 2009-2010), Mario Cervi (dal 1997 al 2000), Maurizio Belpietro (dal 2000 al 2007), Mario Giordano (Direttore 2007-2009), Augusto Minzolini (dal 2021 al 2023) e infine il direttore in carica Alessandro Sallusti (già responsabile dal 2010 al 2021). Cervi, scomparso nel 2015, è stato ricordato con affetto dagli altri cinque storici direttori, che hanno avuto anche modo di rievocare vecchi aneddoti insieme a Bruno Vespa, che moderava il panel intitolato "Orgoglio e libertà – I Protagonisti": uno dei tanti incontri pubblici tenuti agli IBM Studios Milano di Piazza Gae Aulenti per celebrare il primo mezzo secolo di vita proprio del Giornale.
Feltri ricorda i podromi di quell'esperienza nata nel 1994: "Io ero direttore de L'Indipendente, che prima del mio arrivo era moribondo, ma con l'assistenza di San c**o, riuscimmo a vendere più copie del Giornale. Fu così che ebbi l'occasione di andare a incontrare Silvio Berlusconi (chiedendomi di 'fare il Feltri') che all'epoca mi annunciò che voleva fondare un partito chiamato Forza Italia, che tra l'altro era il nome di un mio vecchio programma televisivo". Tutti pensano che lui fosse un "dittatore", ma in realtà lui "non mi ha mai chiamato" se non quando voleva chiedergli un consiglio su chi mettere a capo di Fi: "Mi aveva proposto i nomi di Segni e Martinazzoli e io gli risposi: 'Ma sei matto'? Così gli dissi che avrebbe dovuto farlo lui". E così fu.
Poi, il rapporto con Montanelli: "Andavamo spesso a mangiare alla Tavernetta in via Fatebenefratelli. Era un uomo dai gusti semplici e mi piaceva moltissimo. Quando uscì il mio primo pezzo di saluto come direttore del Giornale - e quindi successore di Indro - ricevo una sua telefonata, facendomi i complimenti e aggiungendo che fosse un peccato che non lo avesse firmato lui. Questo dimostrava come non fosse assolutamente un uomo rustico come spesso si diceva. Io sono rimasto suo amico anche negli ultimi anni di vita. Ho cercato di copiare il più possibile, senza esserci riuscito". Certo, il motivo di orgoglio di avere portato un quotidiano dalle 115mila alle 250mila copie "è enorme".
"A me è toccato il compito più difficile - dice Sallusti - perché è stato il periodo meno eroico del centrodestra: è stato difficile raccontarlo, perché la democrazia era finita in un limbo, con i premier che hanno governato con le formule più strane, spesso nate a causa dello stesso centrodestra". Insomma: era stato tutto "un'operazione di equilibrismo nel rapporto con i lettori". Del resto, poi, quello è anche il decennio della grande crisi dell'editoria, "in cui era anche finito lo scontro tra berlusconismo e antiberlusconismo". Con il trionfo di Giorgia Meloni nel settembre 2022 si sono ripristinale le "condizioni di agibilità giornalistica più chiare rispetto al decennio pasticciato".
A proposito delle dimissioni di Berlusconi nel novembre 2011 il direttore responsabile del Giornale ricorda le sue ultimissime ore da presidente del Consiglio. "Mi aveva telefonato qualche minuto prima di salire al Quirinale per annunciarmi la fine del governo. Io cercai di dissuaderlo, e anche lui stesso non era per niente convinto di questo gesto. Tuttavia lui mi rivelò che aveva avuto un colloquio con il suo caro amico Ennio Doris e che quest'ultimo lo aveva intimato a compiere un atto fortemente istituzionale, nonostante sicuramente lo avessero incastrato". Vespa gli chiede come mai altri quotidiani sembrano avere più importanza del Giornale. Per Sallusti la ragione è molto semplice: "Prima della Meloni i politici della destra avevano più paura del giudizio dei giornalisti di sinistra più che l'opposto". Ora, però, con la prima premier donna "è finito questo complesso di inferiorità".
Belpietro ha sostanzialmente preso il posto di Feltri alla fine degli anni '90: "Arrivai nel dicembre 1997 e mi viene chiesto di diventare, di fatto, direttore operativo, con Cervi che era direttore responsabile. Berlusconi aveva rovesciato il tavolo della Bicamerale e fece la grande traversata nel deserto fino al trionfo alle elezioni del 2001, quando non c'era più nessuno Scalfaro che poteva creargli un trappolone". Poi si arriva alla clamorosa rimonta del Cavaliere nel 2006. "Mi ricordo che Casini era talmente sicurp della sconfitta di Berlusconi - prosegue Berlusconi - che non vedeva l'ora di poterlo sostituire alla leadership del centrodestra: e invece lui perse per appeni 24mila voti". Così come quando Fini voleva cambiare aria dopo la mancata spallata di Berlusconi a Prodi nel 2007: "Qualche giorno dopo il leader di Forza Italia fondò il Popolo delle Libertà dal predellino".
Giordano è stato direttore nella vittoria del Pdl nel 2008: "Io ho amato il Giornale perché dava voce a chi non aveva voce: sia da lettore sia da redattore interno. Abbiamo aperto gli occhi sulla società e sulla realtà e non abbiamo mai guardato in faccia a nessuno: una vera e propria boccata d'aria". L'attuale conduttore di "Fuori dal Coro" ricorda la caduta del governo Prodi 2 e "la mortadella in Parlamento" fino al celebre discorso di Onna di Berlusconi il 25 aprile 2009, pochissimi giorni dopo il terremoto dell'Aquila. "Fu in quel priodo che cominciarono le prime inchieste giudiziarie sugli scandali sessuali". L'inizio della fine politica del Cavaliere.
Per Belpietro c'è anche occasione di raccontare un aneddoto: Mario Draghi che gli telefona e gli dice: "Ti prego, dì a Berlusconi di non far fare un governo tecnico a Mario Monti". Evidentemente l'ex presidente della Bce non pensava che la soluzione per risolvere la crisi dello spread. "Era molto elevato anche quando c'era Prodi, ma il tema è la stabilità del Paese. Ebbi un confronto in tv da Floris con l'allora sottosegretario montiano Catricalà dove gli feci notare che nella manovra non c'era assolutamente alcuna spending review ma solo aumenti di tasse. Quella fu un'operazione politica voluta fortemente da Giorgio Napolitano. E senza di quella non ci sarebbe stata la scissione del Pdl e i vari addii di Fini, Alfano e Verdini".
Minzolini era stato direttore del Tg1 dal 2009 al 2011. "Nel 2010 quando ci fu l'operazione Fini - racconta - enoi facemmo un servizio sul possibile ribaltone. E allora mi chiamò direttamente Napolitano che mi contestava l'espressione giornalistica. Non solo: L'avvocato Coppi mi raccontò che Napolitano si presentò nel suo studio nell'agosto 2013, poco dopo la condanna definitiva.
L'allora Capo dello Stato gli avrebbe concesso la grazia soltanto nel caso in cui Berlusconi avesse annunciato pubblicamente il suo ritiro dalla vita pubblica e politica". Sintomo di un problema istituzionale piuttosto profondo che aveva scosso quegli anni.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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