"Mi caccerete solo da morta": chi ha ucciso la pianista?

Clotilde Fossati, una donna di 80 anni, fu uccisa il 10 giugno 1988 dopo aver bevuto un ultimo drink col killer. A 34 anni dal delitto, l'assassino è ancora sconosciuto. Chi uccise la pianista?

"Mi caccerete solo da morta": chi ha ucciso la pianista?

Era la primavera di 34 anni fa, a Milano. In una torrida mattinata di giugno gli abitanti di Corso Porta Romana vennero svegliati dallo squillo delle sirene della polizia. Al civico 36 di un'antica palazzina a quattro piani c'era stato un omicidio. La vittima, una pianista di 80 anni, si chiamava Clotilde Fossati.

L'autore del delitto non lasciò tracce sulla scena del crimine. O forse sì: qualche schizzo di sangue nel lavandino in cucina, due cicche di sigarette e una bottiglia di liquore sul tavolo del tinello. Quanto bastò a consegnare alla cronaca del tempo le prime pagine di un giallo rimasto a tutt'oggi ancora irrisolto.

Chi era Clotilde Fossati

Clotilde Fossati era nata nel 1908 a Milano. Nella primavera del 1988, l'anno in cui si consumò il delitto, aveva da poco compiuto 80 anni. Conosciuta e benvoluta da tutti, Tilde (la forma abbreviata del nome, ndr) era una donna molto vivace e attiva per la sua età. Al pomeriggio era solita incontrare le amiche per un caffè o un aperitivo nei bar della città meneghina. Per arrotondare la pensione di reversibilità del marito, che ormai era morto da 24 anni, impartiva lezioni di piano a domicilio.

Fin dalla prima infanzia aveva vissuto nell'appartamento di Corso Porta Romana, vicino alla Questura e al famoso acquedotto romano. Una casa a cui era particolarmente affezionata, tanto da opporsi per ben quattro anni a un avviso di sfratto ricevuto dalla società immobiliare che aveva rilevato l'edificio. Tilde era rimasta l'unica inquilina dello stabile seppur fosse stata costretta, suo malgrado, a trovare una nuova sistemazione altrove. "Uscirò da qui dentro solo da morta", aveva giurato mesi prima di essere accoltellata.

La scoperta del cadavere

La mattina del 10 giugno 1988 giunse una telefonata alla centrale operativa dei vigili del fuoco. Una signora chiese all'operatore di intervenire nell'appartamento al secondo piano del civico 36 di Corso Porta Romana. La donna raccontò di aver chiamato invano l'anziana zia al telefono per due giorni, salvo poi trovare la porta blindata sbarrata quando si era recata a casa della parente.

In men che non si dica una squadra del 115 si precipitò sul luogo della segnalazione. Dopo aver scardinato la porta d'ingresso, a pochi passi da un piccolo disimpegno, gli operatori si imbatterono nel corpo di una donna anziana che giaceva riserva sul tappeto damascato del salotto con la testa e l'addome completamente intrisi di sangue.

La scena del crimine

Allertati dai vigili del fuoco, sul posto giunsero gli agenti della squadra Mobile di Milano guidati, al tempo, dal vicedirigente Gaetano D'Amato. La scena del crimine suggerì subito l'ipotesi di un delitto anomalo. L'appartamento risultò in perfetto ordine: non c'erano segni evidenti di colluttazione né di trascinamento del cadavere da un capo all'altro della casa. La porta e le finestre erano intonse, così come anche le serrature. L'unico oggetto fuori posto fu un quadro che, secondo gli investigatori, era stato staccato dalla parete e appoggiato sul divano, in corrispondenza di alcune tracce di sangue.

Il luogo del delitto Fossati

Avvicinandosi alla vittima, gli agenti notarono che aveva il cranio fracassato e il corpo trafitto da alcune coltellate. Accanto al cadavere fu rinvenuto un coltello da cucina, con il manico privo di guancette, sporco di sangue. E non solo. Sul tappeto c'erano anche i cocci di una bottiglia, una di quelle da rosolio. Ma nel corso del sopralluogo successivo, i poliziotti notarono altri dettagli strani.

Sul tavolo del tinello c'era una di bottiglia di liquore, vuota a metà, due bicchieri e un posacenere con due cicche di sigarette. Nel lavandino della cucina inoltre furono individuate alcune tracce di sangue: segno che l'assassino si era lavato le mani prima di dileguarsi. Ma chi poteva aver ucciso Clotilde?

Le indagini

L'autopsia evidenziò che l'anziana era stata dapprima colpita alla testa con una bottiglia di liquore poi, accoltellata al petto e all'addome con una lama sottile - furono dieci i colpi inferti dall'assassino. L'esame tossicologico rilevò che la vittima avesse bevuto una modesta quantità di alcol, verosimilmente liquore.

Le indagini spaziarono a tutto campo. Gli inquirenti stilarono un elenco dettagliato di tutte le persone che conoscevano la donna o che avessero avuto contatti con la vittima prima che morisse. Furono sentiti parenti, amici e anche i suoi allievi ma non emersero dettagli rilevanti.

La collaboratrice domestica raccontò che, pressappoco alle ore 11 di quel venerdì mattina, Tilde aveva chiacchierato al telefono con un'amica. Alle 12.55 aveva risposto a una chiamata del suo avvocato, circostanza confermata dalla nuova proprietaria dell'immobile che provò a contattare invano l'anziana. La stessa fece un altro tentativo nei minuti successivi:: la linea risultò libera ma l'apparecchio squillò a vuoto.

Attorno alle ore 15.30 di quel pomeriggio, un operatore della nettezza urbana trovò la borsa della signora Fossati in un cestino della spazzatura in Corso Porta Romana. Dentro c'erano alcuni effetti personali della vittima, con anche i documenti, e un paio di occhiali. Tale risultanza permise di stabilire l'ora esatta della morte: Tilde era stata uccisa poco dopo le ore 13 e sicuramente prima delle 15.30. Restava, però, da individuare il movente.

Il movente

La prima pista a essere scartata fu quella di un'aggressione a sfondo sessuale. Quando Tilde fu rinvenuta senza vita all'interno del salotto indossava dei pantaloni rossi e una blusa variopinta ancora in perfetto ordine. Dunque gli inquirenti ipotizzarono una "rapina finita male" ma né sulla porta d'ingresso né sulle finestre c'erano segni di effrazione. E poi, pochi mesi prima, la donna aveva fatto sbarrare le ante con delle assi in legno che, dopo l'omicidio, risultavano ancora a posto. Infine, da un'indagine patrimoniale della polizia, risultò che la donna avesse poco più 200mila lire sul libretto di risparmio e 90mila lire in contanti. Abbastanza da spiegare l'efferatezza del delitto?

Per certo la vittima conosceva il suo aggressore. Quando gli investigatori effettuarono un primo sopralluogo nell'appartamento, notarono che la chiave era inserita nella toppa dall'interno: segno che l'anziana aveva accolto inconsapevolmente in casa il suo assassino. Senza contare che nel posacenere c'erano due cicche di sigarette: Tilde non fumava né tantomeno avrebbe bevuto del liquore da sola.

I sospetti sull'operaio

Una svolta (presunta) nell'indagini ci fu quando un "soggetto ritenuto sospetto", scrissero i quotidiani dell'epoca, finì al centro dell'attività investigativa. Si trattava di un operaio che lavorava alla ristrutturazione dell'edificio, l'unica persona a essere presente nella palazzina il giorno dell'omicidio.

A conclusione della pausa pranzo, verso le 12.30, l'uomo aveva preferito restare nell'immobile anziché unirsi ai colleghi per un caffè nel bar lì vicino. Rimase da solo fino alle 13. Interrogato dalla polizia, l'operaio cadde in contraddizione: dapprima raccontò di essere stato al quarto piano della palazzina per recuperare degli attrezzi poi, di essere andato in bagno al primo e al terzo piano.

L'uomo conosceva la signora Clotilde che, in un paio di occasioni, lo aveva ingaggiato per dei piccoli lavoretti di manutenzione. Un paio di volte gli aveva anche offerto un aperitivo. Ma quando gli agenti della Mobile eseguirono un sopralluogo presso la sua abitazione non trovarono nulla che potesse confermare i sospetti. Furono requisiti anche gli abiti e la borsa da lavoro ma non emersero tracce di sangue.

Il giudice per le indagini preliminari ritenne che non ci fossero prove sulla presunta colpevolezza dell'operaio "ma solo sospetti", decidendo così di non convalidare la richiesta di fermo formulata dal pm.

I dubbi sul figlio della domestica

Successivamente ci fu un'altra persona che catalizzò l'attenzione degli inquirenti. Si trattava del figlio della domestica che, fin da piccolo, aveva frequentato la casa di Clotilde Fossati. Nel corso delle indagini emerse che il giovane frequentasse una "brutta compagnia" e che era solito fumare le sigarette della stessa marca di quelle ritrovate nel posacenere.

Il giorno in cui Clotilde venne uccisa fu notata una bicicletta, con una borsa da pony express legata al sellino, appoggiata su una delle pareti esterne dell'edificio: il ragazzo lavorava come fattorino. Quanto basta per farne un assassino? Non per gli inquirenti: nessuno la mattina del delitto avvistò il giovane nei paraggi della palazzina di corso Porta Romana. Ma allora chi uccise Clotilde Fossati? Il caso non approdò mai a una svolta definitiva, tanto da essere archiviato nel giro di pochi mesi dall'apertura del fascicolo.

Chi ha ucciso la pianista?

A oltre trent'anni dal delitto, l'assassino di Clotilde Fossati non è ancora stato assicurato alla giustizia. Restano poche certezze e almeno tre ipotesi sulla dinamica dell'omicidio. La prima è che gli aggressori fossero due, come le cicche di sigarette ritrovate nel posacenere e i bicchieri di liquore sul tavolo del tinello. Un delitto compiuto in correità.

Oppure si è trattato di un killer solitario che ha bevuto e fumato nervosamente prima di inveire con la lama contro la donna. L'ultima ipotesi, forse la meno probabile, è che l'assassino fosse in realtà una donna: ha convinto Clotilde a bere, l'ha stordita e resa vulnerabile colpendola alla testa con una bottiglia, poi le inferto dieci coltellate mortali al petto e all'addome.

Resta però il rebus del

movente: quale fu il reale motivo per cui la pianista fu assassinata? Una vendetta? Un delitto d'impeto? Forse la risposta è ancora impressa sulla quella bottiglia di rosolio, in quell'ultimo drink col killer.

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