Esiste un posto in Italia, quella della prima linea dell’accoglienza italiana, dove i migranti vivono da tre anni e mezzo sotto i tendoni delle sagre. Esiste un posto in Italia dove in una frazione di 197 abitanti c’erano oltre 1600 richiedenti asilo. Ed esiste un posto in Italia dove nel raggio di quattro minuti in auto c’erano oltre 2400 migranti. E questo posto si chiama Conetta in provincia di Venezia. Che sta accanto a San Siro di Bagnoli di Sopra in provincia di Padova, dove ci stava un altro centro e che sta accanto ad Agna il distretto del profugo.
Il sindaco di Agna, Gianluca Piva, che è stato costretto a mettere i cartelli "anti pipì" in strada perché i profughi urinavano per strada, si è perfino laureato con una tesi master sull’immigrazione. Il titolo? “La gestione dei richiedenti asilo, nel distretto del profugo del basso Veneto. Dall'emergenza alla zona franca sociale”. E infatti è un’emergenza. Perché qui da tre anni la gente vive assediata dai migranti, i ragazzini non escono più di casa da soli, le donne la sera hanno paura a fare jogging - due i tentativi di stupro da parte di un ragazzo di colore - e la gente lavora e si spacca la schiena. Una zona che è una distesa infinita di campi dove ancora si scandisce il lavoro con il far del sole e il riposo con il far della notte. Una zona dove hanno preso e ci hanno messo i richiedenti asilo. Tanto in mezzo ai campi nessuno sente. Nessuno protesta. Nessuno fa niente. E invece.
Invece in tre anni Conetta è stata martoriata dalle proteste. La vita degli abitanti di Conetta è completamente cambiata. I migranti sono scesi in strada. Sono scesi in piazza. Hanno appiccato il fuoco all’interno della base con bancali e casse di legno. Hanno sequestrato gli operatori. Hanno impedito alla gente di entrare e perfino di uscire. Si sono picchiati. A luglio 2016 i nigeriani cristiani e i pachistani e afghani musulmani hanno preso asce e coltelli e se le sono date di santa ragione. Finché un giorno hanno deciso in massa di partire. Era novembre scorso. I migranti la mattina del 13 novembre scapparono dalla base e decisero di svuotarla. Per quindici giorni in Veneto andò in scena la maxi marcia dei migranti. E tutti dietro. Polizia, carabinieri, dirigenti, commissari, agenti, prefetti, sindaci, questori, preti, giornalisti. Il Viminale si piegò. La Chiesa pure. Un evento epocale. E in 248 vennero ricollocati.
Da quel momento le cose cambiarono. Le proteste diminuirono. Ogni tanto qualche panca in mezzo alla strada, quattro migranti in croce, le solite proteste per il pocket money e passava la paura. Ma quello che non è mai passato è perché la cooperativa che gestisce il centro, la ex Ecofficina, ora Edeco, già più e più volte indagata, ha continuato ad avere in gestione oltre a quello di Conetta, anche altri centri. Una cooperativa partita con libri da colorare e attività in parrocchia che nel giro di pochi anni, con i migranti, si è accaparrata i centri di accoglienza di mezzo Veneto, totalizzando bilanci da Spa. Una cooperativa già plurindagata. Maltrattamenti. Truffa aggravata. Falso e pure associazione per delinquere nella frode di pubbliche forniture.
La prima indagine la aprì la Procura di Rovigo, due anni fa, con un’inchiesta per truffa aggravata ai danni dello Stato e maltrattamenti a carico dell’ex presidente Gaetano Battocchio e Sara Felpati (moglie di Simone Borile, gestore del centro di Conetta) per dei fatti avvenuti nel 2014 in un centro di accoglienza a Montagnana, nel Padovano. Ma passarono pochi mesi e la cooperativa finiva sospettata di aver contraffatto carte ufficiali del bando di accoglienza profughi Sprar 2016. Il sospetto della procura di Padova era che Battocchio e Borile avessero presentato falsi documenti, truccando una data, al comune di Due Carrare.
Confcooperative aveva sospeso la società per il “troppo business” e poi l’inchiesta che aveva coinvolto anche Padova Tre, società di rifiuti e che partecipa alla nascita di Ecofficina. Simone Borile infatti era anche il vice presidente e il direttore di Padova Tre. E il sospetto era che proprio Padova Tre avesse pagato a Ecofficina (gli ultimi pagamenti erano stati sospesi dal nuovo Cda) una serie di fatture per diversi milioni di euro, che sarebbero servite a gonfiare le spalle della coop rendendola competitiva nell'accoglienza profughi. E il sospetto era che da Tre energia sarebbe partita ai tempi in cui Borile era direttore, una fattura di oltre 100mila euro, che sarebbe andata a finanziare i lavori nella casa di montagna di Borile, a Cinte Tesino, Trento. Insomma il boss dei profughi che si restaura lo chalet (Guarda il video).
A scoperchiare il vaso di Pandora era stato proprio il sindaco di Piove di Sacco, Davide Gianella, 36 anni, laurea in Legge, che è pure del Pd e che notando delle anomalie nel piano dei rifiuti, l'11 aprile 2016, presentò un esposto alla Guardia di Finanza di Padova. “Il debito che ha generato Padova Tre - disse Gianella al Giornale - è milionario. Quando ho chiesto i documenti non me li hanno dati. Il costo del servizio rifiuti è di 2 milioni e 200mila euro. Ma Padova Tre mi ha presentato un piano di 3 milioni e 200 mila euro. A cosa serviva quel milione in più?”.
Già a cosa serviva? E perché la prefettura nonostante sapesse di tutte queste indagini ha sempre continuato ad affidare la gestione di questi centri a questa cooperativa?
E non è finita. Perché arriviamo ad agosto scorso che tra le carte della maxi indagine dell’immigrazione in Veneto scopriamo che “ne hanno fatte di schifezze”. "E' vero che ne abbiamo fatte di porcherie, però quando le potevamo fare", avrebbe detto il 14 aprile dello scorso anno l'ex prefetto di Padova, Patrizia Impresa (non indagato) in un dialogo con l'allora vice prefetto vicario di Padova, Pasquale Aversa, delegato a occuparsi dell'accoglienza dei migranti. Anzi dalle intercettazioni emerge pure che il “sindaco di Cona - Alberto Panfilio ormai stremato a sfibrato da questa indecente accoglienza ndr - rompe”, e che l’allora prefetto di Venezia (non indagato) parlando al telefono con Simone Borile dice: “perché il sindaco entra solo per rompere le scatole e se vuole può rivolgersi all’Onu per entrare”.
Ma non è finita. Perché la coop oltre a essere indagata per associazione per delinquere, maltrattamenti, falso, oltre ad avere giri di parentopoli - il boss Simone Borile è il marito di Sara Felpati a capo di Ecofficina, che ha pure ricoperto cariche nella società di rifiuti a Padova - simulava anche i trasferimenti. A Padova nell’ex caserma Prandina di profughi ce ne stavano 40. Loro ne hanno messi 90. Appena arrivavano gli ispettori dell’azienda sanitaria simulavano i trasferimenti caricando i profughi con borsoni e valige dentro un pullman, poi appena gli ispettori se ne andavano i profughi rimanevano lì. E questo d’accordo con la prefettura.
Ora lì dentro a Conetta sono 388. A Bagnoli il centro, pochi giorni fa, è stato chiuso e a Conetta gli sfollati degli sfollati se ne sono andati. Come Osas che incontriamo mentre sta partendo con occhiali da sole telefonino un contratto e una borsa. Non ha valigia perché le sue cose sono andate bruciate nell’incendio del 25 settembre scorso. In mano? Un posto di lavoro a tempo determinato alla volta di Firenze.
Gli altri? Alcuni vanno vengono, rientrano non si sa da dove con borse cuscini, coperte; altri sono stati trasferiti. Dove non si sa. Nemmeno al sindaco è dato saperlo. Questa è la trasparenza dell'indecenza dell'accoglienza.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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