Le ipotesi in campo restano molte e nella scelta di certo non aiuta il divario che si è creato tra parti sociali e governo. Fatto sta che come sempre accade, anche questa volta la riforma(mini) delle pensioni sta creando più di qualche grattacapo all'esecutivo.
Da un lato il governo deve trovare la quadra sulle risorse finanziarie disponibili e dall'altro deve fare fronte alle richieste delle associazioni di categoria, a partire dai tre sindacati confederali che restano, comunque, sul "piede di guerra" e anche dopo la convocazione di un incontro a palazzo Chigi per il prossimo 20 dicembre, hanno confermato lo sciopero generale indetto per giovedì 16 (su cui restano divisi come anticipato in un articolo de IlGiornale.It).
Più che una partita a scacchi sembra che sul tavolo ci sia il risiko con i vari giocatori pronti a tutto per portare a casa l'obiettivo. I sindacati spingono per quota 41 estesa a tutti, ipotesi che però, essendo troppo lontana dalle reali volontà del governo, potrebbero essere una carta da giocare solo per chiedere delle contropartite pesanti, a partire da Opzione Donna al fine di renderla strutturale, la pensione minima garantita per i giovani (prioritaria per Landini e la Cgil) e rivalutazioni degli assegni pensionistici degli anziani per tutelarne il potere d’acquisto anziani.
Il governo, nel gestire il passaggio da Quota 100 nel 2022 a Quota 102 (64 anni di età + 38 anni di contributi), si è mostrato disponibile alla riconferma di Opzione Donna ed all'aumento dei mestieri "gravosi" ai fini del riconoscimento dell'Ape Sociale ma sull'età utile di accesso alla pensione resta fermo ai 64 anni di età e 38 di contributi (Quota 102), ipotesi che non piace per nulla ai sindacati ma su cui il premier Draghi sembrerebbe irremovibile.
Sul tavolo, allora, l'esecutivo potrebbe giocare la carta di un'uscita anticipata a 62 anni ma, come riporta Today, con il ricalcolo contributivo per coloro i quali hanno il doppio sistema con il ministro del Lavoro Andrea Orlando pronto al confronto con le parti sociali a riguardo per trovare una quadra sul calcolo dell'assegno pensionistico che sarebbe davvero "leggero" per coloro i quali dovessero eventualmente andare in pensione con questa finestra.
L'attuale sistema, difatti, poggia sul modello di andata in pensione di vecchiaia con 67 anni di età o, in alternativa, con 41-42 anni e 10 mesi di contributi; l'ammontare dell'assegno, pertanto, si basa sui contributi versati, meccanismo che sancirebbe un "salasso" sull'assegno per chi andasse in quiescenza in anticipo. Le parti sociali su questa ipotesi restano contrari anche se, a venire in soccorso dell'esecutivo, potrebbe arrivare l'adeguamento, promesso dal presidente Inps Pasquale Tridico, al 100% per tutte le pensioni fino a 4 volte in relazione all'inflazione; questo permetterebbe anche ad assegni più bassi di mantenere un livello di acquisto "decente" spingendo i sindacati a sedersi al tavolo della contrattazione.
In questo caso il nuovo assetto potrebbe essere modellato sempre sulla legge Fornero ma con meccanismi di uscita anticipati.
La prima soglia scatterebbe con almeno 20 anni di contributi e 64 anni di età, meccanismo che permetterebbe di garantire una pensione mensile pari almeno a 1,5/2,5 volte l’importo dell’assegno sociale. Questa opzione è già attivi ma solo per coloro i quali ricadano totalmente nel regime contributivo ma che, nel 2023, potrebbe aprirsi anche al regime misto con parte retributiva.
Altra ipotesi è quella di un'uscita a 63 anni
d’età ed un’anzianità di 41 anni di contributi ed infine l'uscita a 62 anni per cui, al fine di evitare assegni "bassi" si potrebbe associare la richiesta di almeno 25 anni di contributi per l'andata in pensione anticipata.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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