Il paese dei misterici è un regalo del futuro. Fra orchi, mostri e tv che trasmettono odori

Il magazzino del cacciatore Grizzly è una bottega del vintage. E dell'orrore

Il paese dei misterici è un regalo del futuro. Fra orchi, mostri e tv che trasmettono odori

I nuvoloni che minacciavano quel 23 dicembre incominciarono a scaricare una pioggia fastidiosa. Le palle di Natale che decoravano il paese di Feronia spinte dal vento si sbattevano tra loro, a formare un'orchestrina stonata. Leopoldo era venuto lassù per trascorre un po' di giorni di silenzio, ma dietro un vicolo sbucò la banda. Leopoldo aumentò il passo, ma senza che fosse una corsa maleducata. Il Natale per lui era stato sempre un tormento, tanto che lo contestava non mangiando mai i tortellini in brodo che ogni anno gli cucinava la madre. Si avviò verso il bosco. Dietro una curva Leopoldo incrociò un gruppo di cacciatori. Erano schierati accanto a un cinghiale ucciso. Si avvicinò con aria prudente, fumavano e discorrevano eccitati, avevano acceso un piccolo falò sull'erba, sguainato i coltelli che luccicavano di bruma, i volti inzaccherati, le barbe mal fatte. Era pericoloso solo guardarli. Leopoldo si fece coraggio, si avvicinò, uno dei cacciatori, che in paese chiamavano Grizzly, girò il cinghiale a pancia all'insù, forse per imbarbarire il momento o per stupire lo straniero, affondò la lama, iniziò a squartare. Leopoldo disse con un filo di voce.

«Bell'esemplare!»

Nessuno gli rispose, Grizzly continuò a scannare. A ciascuno un pezzo. C'era una densità di sangue in quel crocchio di uomini, sembravano appesi sulla bestia come tanti sanguinacci. Quel Grizzly era l'unico uomo al mondo che Leopoldo avrebbe ucciso volentieri. Ignota la sua origine. Era apparso un giorno all'improvviso a Feronia insieme al cane Chopin e Albertina, bionda esile come una felce, sciagurata adolescente che viveva con lui. Lo chiamava zio, ma tutti pensavano che potesse essere qualsiasi altra cosa. L'uomo apparteneva sicuramente alla schiera dei personaggi extra che s'incontravano nella vita. Leopoldo li definiva i misterici. E si era costruito una teoria sulla loro provenienza. Sicuramente nel futuro era stata inventata la macchina del tempo e gli scienziati all'inizio l'avevano sperimentata sui cani, inviando nel passato razze strane e sconosciute come i bulldog francesi. Quando lo strumento era diventato più sicuro avevano azzardato con gli uomini. La prima scelta doveva essere caduta su malviventi, assassini, i rifiuti che ingombravano la loro società. Niente pena di morte, i criminali venivano gettati nella macchina del tempo. Random, dove capitavano capitavano. Chissà quanti dei condannati al passato erano diventati protagonisti della nostra storia, nel bene e nel male. Santi, condottieri, scrittori, navigatori, premier politici. I misterici, anche se non sembravano coscienti della loro origine, avevano qualcosa di superiore rispetto ai contemporanei. Primeggiavano per forza e intelligenza. Grizzly non poteva che essere uno di loro. Condannato per qualche atroce colpa, forte più degli altri, orecchi a punta, gigante nel corpo, bieco gangster nel cuore, veniva dal futuro. In poco tempo aveva messo in piedi un grande magazzino, diventando il più ricco di Feronia. Raccoglieva e vendeva di tutto, mobili, strumenti di lavoro, statue, elettrodomestici, scarpe. Leopoldo aveva iniziato a frequentare Grizzly solo perché attratto da una catasta di vecchi televisori che esponeva nell'ingresso del magazzino. Appoggiati l'uno sull'altro formavano una scacchiera di monitor che ricordava una vecchia regia televisiva. Grizzly ne teneva accesi alcuni, mostravano immagini sbiadite in bianco e nero, la bocca della tv del passato, sdentata. Leopoldo aveva sempre coltivato l'hobby di collezionare strumenti scientifici. Negli scaffali di Grizzly aveva scoperto un tesoro: bussole, microscopi, generatori di Van de Graaf, una radiosveglia del 1954 con il display numerico. Leopoldo aveva cercato inutilmente di renderla funzionante, Grizzly con pochi tocchi gli aveva dato la luce. Una capacità superiore che confermava la teoria. Era un misterico. E un gran farabutto. Leopoldo tornò in paese e sfiorò di nuovo il magazzino di Grizzly. Nell'ultimo incontro Leopoldo aveva contrattato il prezzo della catasta di televisori in bianco e nero. Sarebbero stati bene nel suo ufficio di produttore televisivo, ma il misterico non li mollava. Nel frattempo il cagnolino Chopin, con il muso da marziano, uscì dal magazzino e si mise ad annaspare sulle scarpe da tennis di Leopoldo. Gli avrebbe dato anche un calcetto per allontanarlo, ma sapeva di rischiare una coltellata. Quell'animale era l'unico essere vivente che Grizzly amava. Nei giorni passati Chopin era scomparso. L'omone selvatico era uscito di senno. Lo aveva ritrovato morente dietro una catasta di legno. Si era attorcigliato il guinzaglio al collo fino a soffocarsi. Grizzly che nella sua vita cruenta non aveva sofferto né per la perdita dei genitori né per altri dolorosi avvenimenti, pianse. Lacrime gigantesche che ruzzolarono sulla sua faccia pietrosa.

«Il mio Chopin, il mio povero Chopin».

Tentò l'impossibile. Appiccicò la sua bocca a quella del bulldog, gli praticò la respirazione bocca a bocca. Un uomo che baciava un cane, non si era mai visto. Chopin rantolò, sputò un bel grumo di bava, poi lentamente, forse proprio per il fiato di Grizzly, un cocktail pestilenziale che avrebbe rinvenuto qualsiasi moribondo, si riprese.

Leopoldo considerò che se la televisione trasmettesse l'odore delle cose, un'intervista a Grizzly che raccontava quel fatto, non sarebbe mai potuta andare in onda. Sorrise dentro di sé. In realtà la tv era monca nella sua rappresentazione, uno spettatore vedeva immagini di cadaveri su una piazza dopo un'esplosione di una bomba, ma non percepiva l'odore dei corpi dilaniati, né quello del sangue e della polvere da sparo. Dalla sequenza registrata sotto un cavalcavia non arrivava il tanfo della povertà o dei barboni. Lo spettatore partecipava a metà all'emozione di ciò che veniva rappresentato sullo schermo. Prima o poi la scienza avrebbe colmato questa lacuna. Tremò al pensiero. Quanti odori sintetici sarebbero serviti per impreziosire uno show in prima serata o un programma sulla cucina! Si sarebbe dovuto pensare oltre che al direttore della fotografia anche al responsabile degli odori. Leopoldo fu distratto da un brivido biondo. Albertina, esile nel suo vestitino rosa si era buttata sulla poltrona a dondolo, distesa come non si conviene, leggermente offerta, un sorriso di donna adulta. Altalenando spostava la luce su di sé, come una bambola fosforescente. Leopoldo cacciò da sé qualsiasi pensiero, era delinquente non vederla bambina, certo, ma inquietava. Il produttore preferì farsi prendere di nuovo dalla catasta di tv in bianco e nero. Si avvicinò. Ma accadde qualcosa di prodigioso. Mentre sullo schermo stavano andando in onda le immagini di un campo coltivato, dall'apparecchio usciva chiaramente il profumo dei pomodori che alcuni braccianti stavano raccogliendo, nell'inquadratura successiva il gregge di pecore profumava di lana bagnata, il pastore sapeva di selvatico e mentre disponeva le forme su una pedana si percepiva un forte profumo di cacio pecorino... Quei vecchi televisori trasmettevano gli odori della realtà. Leopoldo si smarrì. Sul fondo del magazzino sotto una luce ondeggiante Albertina, la giovane bionda canticchiava. Ma i suoi occhi lanciavano bersagli di luce incandescente. A quel punto Leopoldo capì di essere al centro di una favola di Natale. E non gli piaceva esserne protagonista. In fretta e furia fece i bagagli scappò da lassù, s'infilò nel frastuono della città, felice di esserci.

Dopo qualche tempo Leopoldo seppe da Giulio lo spazzino di Feronia che nella notte di Natale era arrivato un enorme camion pieno di lucine colorate, come quello di Babbo Natale nello spot della Coca Cola. E nella notte era improvvisamente sparito portandosi con sé Chopin, Albertina e Grizzly, e tutti i materiali del magazzino. Leopoldo non si perse in domande inutili. C'era una volta... finiva così, per sempre.

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