La doppia morale delle opposizioni sulla Rai e il 25 aprile mai condiviso

Il caso Scurati in Rai ha prestato il fianco a nuovi attacchi contro il governo dalle opposizioni, che non vedevano l'ora. Ma la memoria da quelle parti è sempre troppo corta

La doppia morale delle opposizioni sulla Rai e il 25 aprile mai condiviso
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Su una cosa bisognerebbe concordare tutti, arrivati a questo punto: il 25 aprile in Italia non è una ricorrenza condivisa. E non può esserlo in alcun modo finché ci saranno quelli che a ogni piè sospinto urlano, sussurrano o fanno illazioni sul ritorno del fascismo con un governo di centrodestra. Ed è anche inutile nascondersi dietro un dito, perché mentre da una parte le opposizioni gridano alla necessità, giusta, di una celebrazione condivisa, dall'altra ne hanno fatto un giorno identitario e senza possibilità di condivisione per chi non la pensa come loro. E questo nonostante chiunque sia ora al governo abbia già condannato a più riprese gli orrori del fascismo. E non da due anni a questa parte. Ma è tutto inutile, perché se chi punta il dito contro l'attuale maggioranza è convinta che chiunque sia da quella parte sia un pericoloso fascista, niente farà loro cambiare idea.

E lo dimostra il caso di Antonio Scurati. Che ci siano stati degli errori nella catena decisionale è chiaro, ed è lo stesso amministratore delegato, Roberto Sergio, a dirlo a chiare lettere e senza possibilità di interpretazione, come spesso amano fare quelli sempre pronti con il ditino alzato: "Per lunedì ho chiesto una relazione, saranno presi provvedimenti drastici. Surreale come sia potuto accadere, è necessario approfondire e dare risposte. Chi ha sbagliato paga". Dalla Rai negano che ci siano state censure, si parla solo di un nodo economico (spesa superiore alle aspettative) che non avrebbe permesso di confermare l'ospitata dello scrittore ma è evidente che quanto accaduto, qualunque cosa sia successa venerdì sera a viale Mazzini, ha prestato un ampio fianco alle opposizioni per riversare l'ennesima vagonata di insulti contro Giorgia Meloni. Che magari mentre da quelle parti di discuteva di come uscire dall'impasse, si stava solo mangiando una pizza a Trastevere.

Ipotesi, certo. Però è stata lei a dare maggiore risonanza a quel monologo, pubblicandolo sabato pomeriggio nei suoi profili social, ribadendo che da parte sua non c'è e non ci sarà mai alcun intento censorio. Poi si può stare qui a discutere sull'intento provocatorio di quel monologo da parte di Scurati, che era pronto ad andare sulla televisione pubblica, quindi pagata da tutti, per dare della fascista al presidente del Consiglio, al governo, agli esponenti di destra e anche un po' ai simpatizzanti. Perché da quelle parti sono soliti dare patentini di antifascismo e non gli è parso vero avere un nuovo oggetto di "lotta" per avvalorare la tesi di "TeleMeloni".

Ma, come ricorda Massimo Galanto su TvBlog, l'attuale opposizione dovrebbe anche guardarsi in casa prima di puntare il ditino. La Rai, tramite Paolo Corsini, direttore dell'Approfondimento, riferisce che nessuna censura è stata effettuata su Scurati e che l'ospitata è saltata "a causa di cifre più elevate di quelle previste e altri aspetti promozionali da chiarire connessi al rapporto tra lo scrittore e altri editori concorrenti". Da qui, l'annullamento del contratto. Era il 2022 quando Alessandro Orsini, con le sue teorie non ampiamente condivise, imperversava in prima serata su Rai3 il martedì sera a "Cartabianca", programma di Bianca Berlinguer.

"È giusto che esprima liberamente il suo pensiero, ci mancherebbe. Che io lo debba però anche pagare, anche no. Roba da matti", furono le parole di Stefano Bonaccini, esponente del Pd che, a quel tempo, era pilastro della maggioranza del governo di Mario Draghi. Ebbene, tanto venne detto (e fatto) in quell'occasione, che il contratto di Orsini venne stracciato. Berlinguer poi si imputò in difesa del suo ospite, Orsini si dichiarò pronto a presenziare a titolo gratuito, e così continuò a esporre le sue teorie divisive. Ci si chiede perché Scurati non abbia fatto lo stesso, con l'appoggio di Bortone. Eppure, ai tempi, nessuno gridò alla censura.

Ma forse solo perché al governo non c'era Meloni. E chissà se, prima o poi, gli antifascisti riusciranno ad accettare che il facismo è morto quasi un secolo fa, a costo di ammettere di non avere più nemici da combattere e di doversi ripensare.

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