Avere quarant'anni e sentirli tutti. Questi quindici lunghi mesi di privazioni e clausure forzate, s'intende. E riprendersi tutto in una notte, davanti a una piattaforma online per la prenotazione del vaccino.
Quando i recinti abituali si confondo fino a venire meno del tutto, l'effetto non può che essere straniante.
A guardarla così, un anno e mezzo dopo, la curva delle ondate Covid sembra il profilo di un tappone alpino. E l'Italia che affronta l'ultima - si spera - discesa verso il traguardo di fine pandemia esce finalmente a farsi un Giro.
È una questione di civiltà, di dignità, di diritti fondamentali. Di coraggio e di orgoglio, anche. L'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, certo, quando ce l'hai e ti consente di vivere oppure, semplicemente, non ti uccide
La variante più pericolosa che si aggira per il Paese non è né inglese né brasiliana, ma molto italiana. È la sindrome del "tocca prima a me"
Quando le certezze del presente scivolano via come sabbia tra le dita, la pianificazione del futuro fa i conti con un deserto di opportunità
Se in centosessanta anni di storia pesa soprattutto il ricordo dell'ultimo, vissuto - si fa per dire - sotto l'assedio del virus, il risultato non deve meravigliare
Da trecentosessantacinque giorni più uno, l'immagine che vediamo riflessa quando ci guardiamo allo specchio non corrisponde a quella mostrata in pubblico.
Aveva ragione Arrigo Sacchi quando sosteneva che "non devi essere stato cavallo per essere un bravo fantino". Ma forse il maestro di Fusignano non immaginava che un giorno non lontano sarebbe giunta l'era dell'uno-vale-uno.
Che sapore ha la libertà, pur se relativa, ma riconquistata dopo altri tre mesi di privazioni?