Una pioggerella lieve ma battente da giorni rende quasi un pantano il viottolo che porta alla fossa comune di Bucha. Il piccolo centro vicino Kiev prima, e Irpin subito dopo, sono due dei simboli della devastazione russa a cui Giorgia Meloni decide di rendere omaggio. Visite brevissime, perché il ritardo accumulato la sera prima in Polonia - quando la delegazione italiana ha dovuto bloccarsi per oltre un'ora sulla pista dell'aeroporto di Rzeszòw - per far passare il corteo di Joe Biden - costringe tutti a tempi strettissimi, forse persino troppo considerando la sacralità di luoghi dove il popolo ucraino è stato vittima dei crimini di guerra di Mosca, con uccisioni, sequestri, stupri e deportazioni.
La premier si commuove, soprattutto davanti alla fossa comune di Bucha che raccoglie, spiega l'ambasciatore italiano Francesco Zazo, «116 civili uccisi». Meloni ha infatti gli occhi lucidi quando depone le composizioni floreali in memoria delle vittime e decide di ritornare sulla sua decisione di saltare la visita alla Chiesa ortodossa di Sant'Andrea. È vero che l'agenda - ormai strettissima - lascia pochi margini, come le fa notare l'ambasciatore che spinge per accorciare i tempi. La premier, però, ascolta il suggerimento delle autorità di Bucha (che le donano una medaglia fatta con le pallottole e l'incisione «città non conquistata») e inverte la rotta per visitare la mostra fotografica sul massacro presente all'interno della chiesa. Poi di corsa verso Irpin, dove non c'è quasi tempo per far scendere i giornalisti italiani al seguito. È in questo sobborgo di Kiev che si è tenuto uno dei massacri più cruenti del conflitto, con i cecchini dell'esercito russo che dai tetti dei palazzi sparavano alla gente nel parco. È qui, non a caso, che lo scorso giugno sfilarono insieme Emmanuel Macron, Olaf Scholz e Mario Draghi. Con quest'ultimo che ammise di far fatica a trattenere la commozione.
Sono passati otto mesi da allora e la ricostruzione - seppure con i tempi di un Paese in guerra - sembra iniziata. Anche se Bucha e Irpin resteranno sempre due luoghi simbolo, tanto che il governo di Kiev non nasconde di tenere molto che le delegazioni straniere (possibilmente accompagnate da giornalisti) vi facciano visita. È brutto dirlo, davanti a tanto orrore. Ma è evidente che la guerra in corso tra Russia e Ucraina non si combatte solo con le armi ma anche con la comunicazione. Non è un caso che Volodymyr Zelensky ci tenga così tanto a che i primi ministri in visita a Kiev siano accompagnati dalla stampa del Paese ospite. D'altra parte, lasciando Irpin è la stessa Meloni a parlare di «vite distrutte senza ragione». È diverso parlare di numeri o vedere a caldo la vita della gente distrutta senza che ci sia una ragione». Perché qui, spiega la premier, «abbiamo visto fiori e peluche». Quando incontrerò il presidente Zelensky gli «chiederò cosa possiamo fare di più». Poi un affondo su Vladimir Putin e il suo intervento alla Duma.
«Le sue parole sono solo propaganda che già conosciamo, ma i fatti sono diversi da quello che dice Putin». Poi, prima di congedarsi, firma una bandiera dell'Ucraina con la dedica «at your side!». «Dalla vostra parte!». Perché «questa battaglia gli ucraini la stanno combattendo anche per noi».
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